Un maxi-risarcimento da 190mila euro è stato recentemente stabilito dal Tribunale Civile di Torre Annunziata in favore di un lavoratore che ha contratto una patologia direttamente correlata all’esposizione all’amianto sull’ambiente di lavoro. Si tratta di un indennizzo che, secondo la comune esperienza, per un soggetto ancora in vita, si è attestato su parametri superiori alla media rispetto ad altri casi simili. La decisione potrebbe rappresentare un precedente ma naturalmente, in questo ambito così delicato, le situazioni e le patologie vanno valutate caso per caso. «Quel che è certo invece – spiega l’avvocato Domenico Carotenuto, che ha assistito il lavoratore nella richiesta di risarcimento per esposizione all’amianto – è che la sentenza invia un chiaro messaggio sul ruolo fondamentale della Giustizia nella tutela dei diritti e della salute dei lavoratori, specialmente in contesti industriali. La Giustizia italiana si è dimostrata attenta e imparziale nella gestione di questa vicenda, offrendo un sostegno significativo nella ricerca di soluzioni giudiziarie e conciliative».
La battaglia legale
Il lavoratore-ammalato si è rivolto all’avvocato Carotenuto per ricevere consulenza legale riguardo alle implicazioni giuridiche di una patologia contratta in servizio. Il consulente si è avvalso dei pareri e delle relazioni medico-legali del dottor Nicola Maria Giorgio. Un supporto significativo al caso è stato dato anche dalle associazioni per la salute dei lavoratori, ma il parere medico-legale è stato fondamentale affinché si potessero difendere i diritti del lavoratore. Una volta valutata e analizzata minuziosamente la posizione del dipendente, è stato dimostrato come la malattia fosse imputabile esclusivamente all’esposizione all’amianto. «I principali argomenti e fattori considerati nella ricerca di risarcimento per questo caso – ha spiegato il legale – sono stati quelli della mancata informazione da parte del datore di lavoro del pericolo di presenza dell’amianto e della sua pericolosità, mancata adozione delle procedure per evitare l’esposizione ed il contatto diretto con l’elemento e l’assenza di dispositivi di protezione individuali (Dpi) validi per contrastare l’inalazione delle fibre di asbesto». «Si è aperto quindi un tavolo di trattativa in sede giudiziaria in cui il lavoratore ha ottenuto un risarcimento che ha previsto compensazioni anche per la moglie e per le figlie: come certificato dall’Inail, ha ricevuto la cifra complessiva di 190.000 euro, di cui 130.000 per il lavoratore, 20.000 per la moglie e per ciascuna delle figlie» ha detto l’avvocato Carotenuto. Quello stabilito dal Tribunale Civile di Torre Annunziata è un risarcimento sicuramente importante, capace di aprire nuove prospettive nella tutela dei lavoratori e delle loro famiglie in questo tipo di contenziosi, che ricadono in una materia giuridica molto delicata. Nel 1992 l’Italia ha emanato la legge 257, con cui ha messo definitivamente al bando l’amianto, sostanza dannosa che può provocare patologie quali tumore maligno di tessuto mesoteliale e dei tessuti molli, malattie della pleura e malattie polmonari, danni all’apparato respiratorio e agli organi intratoracici. Nonostante il provvedimento, ogni anno sono circa 1.400 i lavoratori colpiti da malattie asbesto-correlate. Per tutelare questi lavoratori, nel 2008 è stato istituito il fondo Inail per vittime dell’amianto. «Ogni caso – precisa in conclusione l’avvocato Carotenuto – è a sé e va valutato attentamente e con la massima precisione. È per questo che è importante affidarsi a professionisti esperti in materia legale e medico-legale».