Tra denunce, indagini e processo sono trascorsi 14 anni per arrivare alla sentenza di primo grado che, ieri, si è conclusa con l’assoluzione di sette imprenditori gragnanesi, alla sbarra con l’accusa di usura e truffa ai danni di un ex titolare di un’azienda di lavorazione del legno. Al centro del procedimento c’erano proprio le casette per la ricostruzione del post-sisma de L’Aquila.
I fatti risalgono al 2010 quando gli investigatori erano riusciti a tracciare la vendita della prima abitazione della presunta vittima raggirata da un parente, che gli avrebbe promesso un guadagno a sei zeri acquistando delle abitazioni prefabbricate destinate ai terremotati e salvate da un incendio, del valore di 300mila euro per poi rivenderle a un prezzo maggiorato fissato a 3 milioni di euro a un fantomatico Consorzio Italia.
Le fasi del presunto raggiro
Un investimento che sarebbe dovuto avvenire a stretto giro, per bloccare le strutture prefabbricate e poter monetizzare. Ma l’affare promesso in Umbria sarebbe slittato più volte perché di base c’era una continua richiesta di soldi da parte del parente alla vittima. Quindi per poter disporre della cifra richiesta è proprio la vittima che sceglie di mettere in vendita la prima abitazione di proprietà, con un patto di riscatto con l’erogatore del prestito. Patto che avviene oralmente. Ovvero, la vittima avrebbe potuto riacquistare l’immobile dato in garanzia restituendo una somma con i dovuti interessi, ma in mancanza dell’importo stabilito la dimora sarebbe rimasta nelle proprietà dell’acquirente-finanziatore. Senza mai avere certezza dell’investimento suggerito dal parente, la vittima vende nel corso di quattro anni tre appartamenti e un negozio, tra i quali anche l’abitazione di residenza. La cifra sottratta dai sette imprenditori finiti alla sbarra sarebbe pari a un milione di euro. Il presunto raggiro milionario è, infatti, denunciato dalla moglie della vittima quando arriva l’ordinanza di sfratto da parte dei nuovi proprietari dell’appartamento. La donna si dirà poi ignara di quanto deciso convivente rispetto all’investimento per un affare mai andato in porto. A stringere il cappio intorno al collo della vittima, che in qualche modo aveva cercato di vendere i successivi appartamenti per restare nell’affare ma anche per riscattare le prime case vendute, sono stati i tassi di interesse fissati dagli acquirenti-finanziatori in alcune circostanza addirittura triplicati rispetto al valore dell’immobile. Un circolo vizioso in cui sarebbe rimasta incastrata la vittima che si è trovata a vendere tutte le proprietà, rincorrendo un Consorzio fantasma e non riuscendo a riscattare nessuna dimora data in garanzia.
La sentenza di assoluzione
Tutti assolti, in primo grado di giudizio, i sette imprenditori gragnanesi a processo – con l’accusa di usura e truffa – difesi dal collegio formato dagli avvocati: Marziano Vicidomini; Giovanni Verdoliva; Vincenzo Cirillo; Angela Bilancio; Francesco Tiriolo e Andrea Mariconda.