Sono trascorsi 15 anni dall’omicidio dell’ex consigliere comunale Gino Tommasino, esponente del PD, ucciso senza pietà dagli esponenti del clan D’Alessandro di cui, all’epoca dei fatti, era il politico di riferimento. Uno sgarro che viene ricostruito in quasi 300 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato agli arresti di 6 persone, ritenute colpevoli a vario titolo dell’omicidio, e alcuni individuati quali mandanti dell’esecuzione a morte di Tommasino (43 anni), portata a termine il 3 febbraio del 2009, in una delle zone centrali di Castellammare di Stabia alle 16 di pomeriggio. Tra gli arresti di meno di 24 ore fa, spicca il nome del boss Vincenzo D’Alessandro. Per l’Antimafia il movente del delitto Tommasino è legato a una cifra ben precisa: 30mila euro che sarebbero spariti nel nulla. A confermarlo è stato il collaboratore di giustizia Pasquale Rapicano. L’ex killer del clan D’Alessandro ha raccontato ai magistrati dell’Antimafia: «Sergio Mosca ha sempre cercato di privilegiare i rapporti con la politica, all’epoca aveva rapporti con Tommasino che era consigliere comunale, oggi invece ha stretto rapporti con Gennaro Iovino, che è un politico che gestisce gli affari a Castellammare». Gennaro Iovino deceduto appena un anno fa. Ma quale era il ruolo di Gino Tommasino negli ambienti di camorra? Per l’ Antimafia l’ex consigliere comunale del PD aveva un accordo con Pasquale D’Alessandro, suo amico d’infanzia, e proprio Tommasino aveva il compito di recuperare i soldi del pizzo imposto alle ditte che si aggiudicavano appalti pubblici. Dopo l’arresto di Pasquale D’Alessandro, Tommasino aveva poi stretto rapporti con Sergio Mosca, suocero di Pasquale D’Alessandro. A fomentare dubbi sull’operato di Tommasino, in merito al ruolo affidato dal clan di Scanzano, sarebbe stato Paolo Carolei, una figura di spicco perché considerato il collante tra la cosca gragnanese dei Di Martino e quella stabiese dei D’Alessando. Per Carolei l’ex consigliere avrebbe utilizzato il nome di Pasquale D’Alessandro per un tornaconto personale sia in termini di favori sia anche economici. Ed è proprio la parte economica che avrebbe fatto scattare il piano mortale, con l’uccisione di Gino Tommasino ritenuto un infedele poiché avrebbe incassato il denaro del clan.
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