Trent’anni senza un idolo immortale nel cuore di tanti tifosi, non solo di quella Roma giallorossa da sempre orgogliosa di celebrare un capitano che si è fatto leggenda. Agostino Di Bartolomei a tre decadi dalla sua morte resta un simbolo di un calcio romantico fatto di cuore, grinta e polmoni, esempio di come un leader silenzioso, schivo quanto coraggioso, possa fare la differenza e lasciare un segno profondo come un solco nella storia di un club.
Protagonista dello scudetto dell’83 ma anche di una drammatica finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool (30 maggio dell’84), ‘Ago’ dieci anni più tardi si suicidò nello stesso giorno di quella ricorrenza triste per il popolo giallorosso, quasi a voler simboleggiare la fine di tutto, dei sogni delle speranze e dunque della vita stessa. Successe a San Marco, frazione di Castellabate, in provincia di Salerno, il paese di origine di sua moglie Marisa. Ago di talento ne aveva da vendere e lo dispensava con gioia, senza mai sorridere, sempre fedele al suo ruolo di uomo serio, umile e intransingente con se stesso. Nel quartiere a sud di Roma dov’era nato, a Tor Marancia, e dove tirò i primi calci al pallone tutti lo ricordano come un ragazzo riservato, dalla sensibilità e intelligenza che usciva fuori dagli schemi. Dotato di un tiro potente (memorabili le sue punizioni ‘bomba’) venne chiamato alle giovanili della Roma. L’esordio in prima squadra si materializzò nella stagione 1972-1973, a poco più di diciotto anni contro l’Inter, a Milano.
Allora la direzione tecnica era affidata a Manlio Scopigno. Da lì un’ascesa costante che lo fece diventare il ‘faro’ della Roma di Nils Liedholm con cui scrisse la stagione trionfale dello scudetto ‘82-’83. ‘Ago’ non era un personaggio mondano come Falcao, neppure un eroe nazional popolare come l’estroso Bruno Conti, trascinatore dalla fantasia stile ‘Brazil’. Ma per i tifosi della Sud ogni suo pensiero, ogni sua parola, era il ‘verbo’. Dopo quella notte europea maledetta dell’Olimpico Di Bartolomei non trovo spazio nella nuova Roma di Sven Goran Eriksson che non lo vedeva punto fermo della sua squadra. E se ne andò al Nord, al Milan. E quella tifoseria ‘scippata’ del suo ‘idolo’ dava ogni volta modo di riconoscere la sua grandezza. Resta negli occhi quello striscione immenso, sintesi di un pensiero popolare: “Ti hanno tolto la Roma. Ma non la tua curva”. Quella finale persa ‘Ago’ non la dimenticherà mai. E da allora qualcosa si spezzò. Esempio di lealtà e correttezza in campo, dopo tre stagioni al Milan passò al Cesena per poi chiudere la carriera con la Salernitana contribuendo dopo 23 anni a farle raggiungere la serie B. Il 20 settembre 2012 il suo nome venne inserito nella Hall of Fame della Roma. Una targa per lui, ‘Ago’ l’immortale.