Una società di gestione e smaltimento di rifiuti fittiziamente intestata a un prestanome ma, di fatto, riconducibile una compagine familiare vicina ad ambienti camorristici del clan dei Casalesi. Attività illecite capaci di generare ingenti flussi finanziari, successivamente riciclati attraverso una rete di persone fisiche e giuridiche accomunate dalla stessa regia.
Il riciclaggio del denaro proveniente da illecite attività
L’impresa di smaltimento dei rifiuti, già nel passato destinataria di provvedimenti interdittivi antimafia per la presenza di un socio esponente di spicco del clan dei Casalesi, avrebbe continuato a operare attraverso una nuova compagine, nell’interesse del clan. Questa la ricostruzione della Direzione distrettuale antimafia della procura di Napoli che indaga su otto persone gravemente indiziate di appartenere a una organizzazione dedita ai reati di riciclaggio di denaro, frode fiscale e intestazione fittizia di beni, aggravati dalla finalità di agevolare il clan dei Casalesi. Nei loro confronti il gip del tribunale partenopeo ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare che è stata eseguita da militari del nucleo speciale di polizia valutaria della guardia di finanza di Roma, con il supporto dei finanzieri del comando provinciale di Caserta. Il provvedimento scaturisce dagli elementi probatori raccolti a carico di un gruppo di imprenditori, con base organizzativa nella provincia di Caserta, “dedito in modo sistematico alla commissione di reati tributari”, spiega una nota. Emersa una linea di continuità gestionale e imprenditoriale tra la vecchia compagine societaria e l’attuale, che avrebbe garantito all’organizzazione criminale di poter continuare a disporre di una delle sue articolazioni imprenditoriali, “in sostanziale elusione delle interdittive adottate dall’autorità prefettizia”.
Le indagini
Nel corso delle indagini è emerso che la società di smaltimento rifiuti avrebbe ricevuto e utilizzato numerose fatture per operazioni inesistenti che hanno consentito di generare costi fittizi e al tempo stesso far fuoriuscire gli utili aziendali attraverso un imponente sistema di riciclaggio. Attraverso l’operato di diversi soggetti, ciascuno con ruoli ben definiti, sarebbero state poste in essere anomale movimentazioni finanziarie, collegate alle fatturazioni per operazioni inesistenti emesse da società di comodo-cartiere, finalizzate a far confluire su conti correnti bancari e postali somme di denaro che poi venivano trasferite anche all’estero, in Bulgaria, Regno Unito, Polonia, Germania, Belgio, Lituani, o prelevate in contanti, rendendo difficile l’individuazione della destinazione finale. Le indagini tecniche e di tipo bancario hanno comunque consentito di appurare il rimpatrio di buona parte dei capitali, di verosimile provenienza illecita, attraverso movimentazioni di denaro contante. Nei confronti dei due soggetti che hanno diretto e organizzato l’attività del sodalizio è stata disposta la custodia cautelare in carcere, mentre gli altri sei indagati sono stati posti agli arresti domiciliari. È stato anche disposto dal Gip, su richiesta della Dda, il sequestro preventivo, anche per equivalente, di disponibilità finanziarie, beni mobili e immobili, per più di 11 milioni di euro, oltre alla totalità delle quote di partecipazione al capitale sociale e dei complessi aziendali di sei società.